I comunisti dovrebbero essere immortali

I comunisti dovrebbero essere immortali.

Non è per stabilire una loro presunta supremazia sul resto dei viventi, è perchè quando ne muore uno, muore un pezzo di Rivoluzione.

Muore un pezzo di lotta e si spegne un pò energia. E come quando muore una stella il cielo brilla di meno.

Ogni uomo che muore lascia un vuoto in chi l’ha amato, ogni comunista che muore lascia un vuoto anche in chi non l’ha mai conosciuto.

Di ogni compagno si raccontano mille aneddoti e mille storie di lotta, di resistenza e di partecipazione. Di ogni compagno si spera che qualcuno raccolga il testimone.

Per superare l’assurda ingiustizia di non essere immortali e di lasciare questo vuoto nel cuore di chiunque spera e lotta in qualunque parte del mondo ci siamo pure inventati la frase “muore un comunista ne nascono altri cento”.

E allora dobbiamo darci da fare e superare la nostra ritrosia a figliare in questo mondo, perchè per sostituire i comunisti veri servono uomini e donne veri.

Per sostituire Lucio Conte dovremo darci veramente dentro, dovremo far nascere e crescere i futuri costruttori della Città Futura.

Pubblicato in Lotte | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su I comunisti dovrebbero essere immortali

Uomini liberi in un mare di schiavi

Una sera in una piccola Mompracem romana, un gruppo di “estremisti da isolare” si trova a discutere del perchè e del per come si è diventati quello che si è. Quali letture, quali riferimenti li hanno portati a scegliere un punto di vista tanto forte e ad essere incociliabili estranei della nostra bella società. Si Che Guevara era stato fondamentale per tutti, dai suoi viaggi in moto al suo antimperialismo, prima istintivo poi politico. Certo i grandi classici del pensiero rivoluzionario. Leggere le storie di Guido Picelli e le gesta degli Arditi del Popolo hanno dato a tutti un impronta indelebile. A rifletterci bene tutti gli uomini e le donne che li avevano resi quello che erano potevano tranquillamente essere protagonisti di romanzi. Avevano delle vite, delle parole e dei gesti che al di là del loro essere seri rivoluzionari li portavano in un universo che è necessario, quello epico, se non si vuole passare il tempo a rotolarsi nel fango.  Continua a leggere

Pubblicato in Libri | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Uomini liberi in un mare di schiavi

Estremisti da isolare

Sono un “estremista da isolare”, uno della frangia violenta, se volete sono un antagonista e certe volte un anarco-insurrezionalista. Dipende dai giorni. Ho cominciato poco più che adolescente quando un simpatico neonazista austriaco ha regalato un albero di natale al Papa e mentre ero lì a dire, assieme a tanti altri “estremisti da isolare”, che cantare Bianco Natal sotto quel pino era un po’ ipocrita, un celerino voleva a tutti i costi spaccarmi la testa. Ho messo il casco, l’ho mandato a quel paese e fatto volare le transenne. Dopo di che è stata una lenta discesa negli abissi dell’“estremismo da isolare”. Il training è stato duro. Imparare a far volare i sampietrini non è facile, ci vuole una impostazione seria per non slogarsi una spalla. Pensate noi “estremisti da isolare” sappiamo anche perchè li facciamo volare i sampietrini. Perchè loro, le guardie, i buoni per intenderci hanno le pistole, i blindati, i gas lacrimogeni illegali, i manganelli e tanta tanta voglia di romperci le ossa. Continua a leggere

Pubblicato in Lotte | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Estremisti da isolare

Fanfulla è vivo e lotta insieme a noi

E’ risorto il famoso soldato di ventura nella via a lui intitolata nel quartiere Pigneto di Roma.


In via Fanfulla da Lodi 38 da venti anni vive una comunità di cittadini senegalesi, artigiani e venditori ambulanti che qualcuno vuole buttare fuori dalla loro casa.

Al Pigneto chi ha i soldi da investire ci viene per comprare case, ristrutturare topaie per affittarle ai Bobò con cappello stiloso e occhiali anni ’50, i palazzinari ci vengono perchè possono fare quello che cacchio gli pare che tanto nessuno gli dice niente. Ci si viene per aprire un locale più o meno trendy e con la scusa ci si fanno un sacco di soldi fottendosene dei bisogni del quartiere. E’ il capitalismo, baby.
Ultimamente pare che anche delle simpatiche organizzazioni mafiose ci siano arrivate a investire. Chi al Pigneto vive e cerca di cambiare le cose non ha però notato la differenza. E’ il capitalismo, baby.
Ah, a proposito questo fenomeno che i sociologici chiamano Gentryfication, i poveri comunisti nostalgici si ostinano a chiamarlo speculazione. Non è che prima il Pigneto fosse il paradiso, ma tra un semplice degrado da prima periferia e il paese dei balocchi di chi ha i soldi ci sarebbe in mezzo qualcosa di altro.
Certe volte però il meccanismo si inceppa e quando si inceppa succedono cose strane come vedere una piccola processione di cittadini che portano sacchi di cemento e sabbia, mattonelle, tazze del cesso, assi di legno, tegole e mattoni come dei re magi in dono a una casupola sgarrupata che il Comune vorrebbe sgomberare. Continua a leggere

Pubblicato in Lotte | Contrassegnato , , , , , | Commenti disabilitati su Fanfulla è vivo e lotta insieme a noi

La parola, il cibo e il Saint-Emilion

E’ il saucier del Mirabelle.
Sembra un’onorificenza, quasi un grado da marina militare, suona alto e imponente.
Che vuole dire?
Fa le salse in un ristorante.
Detto così, sciolto e senza parole di sapore ricercato mi immagino uno coi pantaloni a scacchetti, la sigaretta in bocca come Tognazzi e Gassman, cuoco e cameriere ne “I nuovi mostri”, mentre gira la zuppa dello scarparo.

In quella scena fantastica, i due litigano furiosamente nella cucina della loro trattoria “genuina”, tirandosi tutto quello che capita loro sotto mano per poi fare pace solo quando uno scarpone finisce nella zuppa: zuppa che a quel punto si qualifica come “dello scarparo”. La tavolata di borghesi intellettuali che ignara discute nella sala del buon cibo di una volta e della rusticità della cucina all’annuncio della zuppa dello scarparo si esalta e la ordinano tutti. La parola ha dato il senso al piatto, così come la scarpa gli ha dato un buon sapore di cuoio vecchio.

La parola sta in una frase come l’ingrediente sta alla ricetta. Ma c’è di più: la ricetta o la presentazione di una preparazione hanno bisogno della parola, senza la parola non esistono. Senza quelle lunghe locuzioni, dense di aggettivi, senza i nomi specificati in senso territoriale o produttivo degli ingredienti il cibo rimane mero alimento e non diventa esperienza. E’ il marketing applicato al mondo della forchetta.

Qualche esempio.

Un piatto di “rigatoni burro e parmigiano” può diventare “Mezzi ziti al burro crudo di malga con Reggiano DOP Extra riserva 36 mesi e pepe di Sychuan”. E’ poesia ma è sempre pasta burro e parmigiano.

La Romanella, l’atroce vino frizzante che ha devastato generazioni di romani, diventa beverina e piacevole al palato. Sarà pure beverina ma rimane vino rifermentato in bottiglia con lo zucchero.

Un grande vino nei deliri del sommelier, prigioniero come i suoi simili di un linguaggio codificato e creato per lui, viene così descritto: Accostato al naso esprime candore e pulizia, non ci sono picchi né elementi estranei e poco comprensibili, al contrario basta un po’ di ossigenazione nel calice e scopri la viola, le amarene appena mature e dal morso croccante e poi succoso, a cui si accompagnano altri piccoli frutti rossi, sfumature di timo, alloro, a tratti si alternano delicatissimi riverberi di anisetta e muschio. Bocca fresca e dinamica, vivace, con un tannino di bel nerbo ma dall’astringenza che scompare veloce lasciando ampio spazio al gusto fruttato e ad una sottile vena sapida che chiude con accenti di liquirizia e toni balsamici.

Parole sprecate, aggettivi senza senso e sapori irreperibili per un comune mortale. Più un linguaggio sembra da iniziati, più chi lo usa si sente importante e chi non lo usa ne ambisce l’uso e nel frattempo si frustra. Vorrei prendere questa bottiglia di Brunello di Montalcino e dire “Oste, sa di muschio, cambiamelo!”

Ci sono però anche degli esempi in cui la parola si prende il ruolo che le spetta: trasmettere al futuro, tramandare. Quando il cibo si fa letteratura non sono gli uffici marketing e i sommelier coi loro aggettivi vuoti e sbrilluccicanti a parlare. Parlano gli uomini che traducono in verbo le sensazioni.

“Il paradiso è chiavare nel sole, forse pieni di Saint-Emilion.”
Edoardo Sanguineti ha fatto più per il Saint-Emilion con questa riga di poesia che schiere di degustatori. Anche se non hai mai bevuto il Saint-Emilion, e magari non sai se è rosso o bianco,  ne senti quasi il sapore e mandi affanculo tutte le inutili bacche rosse, l’odiato timo e l’assurdo muschio, e ti viene suggerita l’occasione ideale per berlo. Sdraiati al sole ebbri di sesso.
La parola resituisce al vino il suo carattere “umano”, lo libera delle descrizioni puritane e simmetriche dell’industria del gusto, lo da all’uomo e alla donna nel loro essere umani. Sanguineti quel vino lo conosce – dovrebbe essere sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani conoscere il Saint-Emilion – lo ama e lo associa alla cosa più bella del mondo.
Che il sommelier rimanga con la camicia bianca e i suoi disgustosi risucchi da degustazione: noi il vino lo abbiamo liberato grazie alla parola.

Pubblicato in Gusto | Contrassegnato , , , , , | Commenti disabilitati su La parola, il cibo e il Saint-Emilion